Luca Borriello è tra i fondatori dell’associazione Arteteca e dell’osservatorio sulla creatività urbana Inward, nato nel 2006 a Napoli est. Esperienza che negli anni ha dato vita al Parco dei Murales, che è diventato un attrattore turistico su Napoli est.
Come nasce l’esperienza di Inward e qual è stato il suo impatto su Napoli est?
«Inward è l’osservatorio nazionale sulla creatività urbana. L’unità urbana dell’associazione Arteteca, nata nel 2004 da esperienze precedenti dei suoi fondatori, giovani che da sempre si erano prodigati nella valorizzazione della creatività in varie forme. La forma che ci ha maggiormente appassionato è stata quella urbana: graffiti, street art, nuovo muralismo. Questo complesso lo chiamiamo creatività urbana. Da qui, nel 2006, è nato Inward. Abbiamo creato e coordinato Inopinatum Centro Studi sulla Creatività Urbana dell’Università La Sapienza di Roma. Poi, da due anni, lo abbiamo trasferito all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. L’ultima avventura è stata il coordinamento della ricerca scientifica del ministero della Cultura, che ci ha assegnato nel 2020, sempre sulla creatività urbana. Nelle attività di Inward ci sono la valorizzazione, la promozione e la produzione di opere quali murales. Il nostro primo progetto si chiamava Cunto, che è l’acronimo di Creatività Urbana Napoli Territorio Orientale, che si è articolato su Napoli est, ed è stato sostenuto da fondazione Vodafone nel 2009. Abbiamo anche sede a Napoli est, precisamente a Ponticelli. Grazie ad Eav che ha dato in fitto alle associazioni alcuni spazi di alcune stazione. Noi siamo nella stazione Argine Palasport, in un appartamento trasformato in ufficio, dove svolgiamo anche attività didattiche e laboratori».
Avete contribuito allo sviluppo culturale del quartiere.
«Creatività, riqualificazione e rigenerazione sono le nostre parole chiave. Chiaramente è impensabile farlo senza un confronto con il territorio e la comunità che lo vive. Il collante è stato l’identità. In territori come quello di Napoli est l’identità va ricostruita, assieme alle persone che lo popolano, su temi comuni. Il nostro progetto sviluppò un’ottima interazione con scuole, parrocchie, associazioni. Centinaia di ragazzi hanno partecipato ai nostri percorsi. Dagli incontri tematizzati che abbiamo realizzato sul territorio sono venute fuori nove opere di graffiti. Abbiamo capito come dialogare con la comunità di Napoli est (Barra, Ponticelli, San Giovanni). Nel nostro lavoro la parte sociale che precede la realizzazione delle opere, che non sono imposte, è fondamentale. Tutto partì quando Unaar, attraverso l’Anci, ci chiese di realizzare tre opere, in Italia, con tre riferimenti all’antirazzismo. Reggio Calabria, Trieste e Napoli le città selezionate. Il progetto era inoltre sostenuto dal Miur, nell’ambito della XI Settimana d’azione contro il razzismo.L’opera di Napoli, inaugurata nell’aprile 2015, aveva come tema le etnie rom, sinti e caminanti. Dopo il rogo che aveva avvolto un campo rom sul territorio, la storia era impressa nella comunità rom locale. Di fronte la villa Romana c’era, e c’è ancora, un complesso edilizio con otto pareti, il parco Merola. Chiedemmo ed ottenemmo dalla VI Municipalità le autorizzazioni necessarie».
Dire Inward è dire appunto Parco dei Murales.
«Il parco dei murales è stato realizzato tra il 2015 e 2018. Un nome dato dalla vulgata a quello che è, come dicevo, il parco Merola. Lì si poteva innescare questo confronto tra parte sociale e artistica. Da quello poi sono arrivate anche le visite dei turisti. Con l’associazione Econote organizzammo il primo tour al parco dei murales nel 2015. In quel momento capimmo che all’aspetto sociale ed artistico si poteva aggiungere anche quello promozionale e turistico. La cosa più sorprendente fu Gesac, la società che gestisce l’aeroporto di Capodichino, che ci propose di vendere i biglietti per i nostri tour. I nostri tour erano gratuiti e gestiti dai ragazzi del servizio civile. Con It guides realizzammo un’app gratuita, nel quale è stato inserito (a spese nostre) il parco dei murales. Poi abbiamo creato una audio guida con il racconto dei bambini del parco che hanno partecipato a nostri laboratori. Affiancata da video in lingua dei segni che spiega le opere».
È notizia recente che il Contratto Istituzionale di Sviluppo ‘Vesuvio-Pompei-Napoli’ interesserà anche la zona Est di Napoli, con interventi di riqualificazione e con investimenti sulle direttive cultura, turismo, sociale e rigenerazione urbana. Secondo la sua esperienza di settore, come si dovrebbe intervenire nei quartieri della periferia orientale e su cosa andrebbero concentrati gli investimenti?
«Fuori retorica che è fondamentale che accada. Ciò di cui quella porzione di territorio ha bisogno è un risanamento dal punto delle infrastrutture materiali, politiche abitative, della pianificazione urbanistica servizi, al quale si collega anche lavoro, che è una conseguenza. Un’occasione. Una scommessa forte in una realtà che è stata interessata da esperienze pregresse, non sempre felici. La storia ci racconta di diversi patti intercomunali e finanziamenti che hanno puntato sulla collezione di siti che esiste fino a Castellammare. La cosa più intrigante è che non esiste una determinazione amministrativa dei Paesi vesuviani, ma sono più di quelli che sono indicati solitamente. Un tema molto importante è questa area di snodo, costituita da Barra, Ponticelli e San Giovanni. Un quartiere come Ponticelli che conta quasi gli abitanti di San Giorgio a Cremano è compresso. Dal punto di vista delle infrastrutture è necessario come in un piccolo comune. Quella fetta di territorio è di giunzione tra Napoli e il vesuviano e coincide con la VI Municipalità, che è la più giovane della città. Se ci fossero le condizioni essenziali su infrastrutture e servizi, si abbinerebbe una miglioria del servizio culturale. Io ricordo che un sesto delle ville vesuviane sta in quei tre quartieri. Spesso versano in uno stato particolare. Molte sono state condominializzate. Almeno alcune potrebbero diventare presidio culturale. Innanzitutto facendo lavori di ristrutturazione, previsti dal piano. Questo potrebbe rientrare anche in un flusso turistico, anche se la Circumvesuviana migliorasse il sistema dei trasporti. Credo che una cosa del genere possa funzionare anche in periferia, una nuova centralità come quella. Dall’altra parte le nuove generazioni possono scovare in questa rigenerazione socio-urbanistica un principio di attività come un servizio guide. L’auspicio è che l’occasione sia anche una valorizzazione della cultura e dell’economia del turismo».
Ciro Oliviero